Le leggi di Asimov e il club dei 27

Se una intelligenza artificiale fa danni, di chi è la colpa ?

Un software di intelligenza artificiale di Google, tale Magento, utilizzato dall’associazione canadese Over the Bridge, compone una canzone “di” o “al posto di” quattro artisti scomparsi, Kurt Cobain, Amy Winehouse, Jim Morrison e Jimi Hendrix. Frutto di questa “collaborazione” è l’EP Lost Tapes of the 27 Club, chiamato cosi in riferimento al famoso club dei 27, una espressione giornalistica usata comunemente per indicare i numerosi artisti Rock scomparsi a 27 anni (link). Questa  abbondanza di virgolettati è d’obbligo perché, viste le dichiarazioni  di chi ha potuto ascoltare questi brani, la  somiglianza è davvero notevole.

In pratica, il software di intelligenza artificiale Magento è frutto di un progetto di Google, per dare agli artisti la possibilità di creare musica generativa. Fin qui nulla di nuovo, dall’alba dei tempi l’uomo per creare musica ha utilizzato strumenti sempre più complessi, e dagli anni 70/80, con sintetizzatori elettronici e computer dedicati si è aperta anche l’era digitale della musica. Ma restava sempre all’uomo la responsabilità di creare e comporre le sequenze musicali (più o meno belle, ma questo è un altro discorso). Nel nostro caso invece è bastato far ascoltare all’algoritmo una trentina di brani di ogni artista, per analizzare, “imparare” e quindi “creare” delle nuove canzoni, riconducibili totalmente, come stile e come sound, agli artisti scomparsi.

Tornando al nostro ambito legale, è facile prevedere che ci saranno delle novità nei contenziosi, per la necessità di poter inquadrare questo nuovo soggetto creativo e i suoi diritti. Per ora possiamo solo accennare a qualche dubbio. Ad esempio, i diritti di queste canzoni a chi sono riconducibili ? Al software ? Se si, Google diventa anche compositore  musicale, in grado magari un giorno, di sbaragliare velocemente la concorrenza ? Nel caso in cui un erede degli artisti rivendichi qualche diritto, a chi fa causa ? Sempre a Google ?

In principio erano le 3 leggi della robotica di Asimov :

  1. un robot non può recar danno a un essere umano né può permettere che, a causa del suo mancato intervento, un essere umano riceva danno.
  2. un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, purché tali ordini non vadano in contrasto alla prima legge.
  3. un robot deve proteggere la propria esistenza, purché la salva­guardia di essa non contrasti con la prima o con la seconda legge.

Uscendo ora fuori dal contesto musicale, artistico e creativo, dei diritti d’autore, è necessario oggi chiedersi se esiste la responsabilità giuridica dell’intelligenza artificiale. In poche parole, se l’algoritmo di Facebook  un giorno viene ingannato, bypassato o altro, e per esempio scambia una fake news per realtà (o viceversa) e questa cosa crea un danno a qualcuno, la responsabilità di chi è ? Dell’algoritmo di Facebook e quindi di Facebook ? E se invece una qualsiasi associazione criminale si impossessa di uno di questi software e lo utilizza per drogare la Borsa e frodare il prossimo ? Dei reati informatici e delle frodi possibili in ambito AI ci occuperemo in un apposito articolo, vediamo qui invece come possiamo inquadrare l’AI nella responsabilità giuridica penale e civile.

Il problema si presenta particolarmente complesso non tanto quando si tratta di valutare l’impatto dei software di AI che risolvono problematiche specifiche (come gli algoritmi di musica generativa di Google o l’auto a guida autonoma di Uber), in questi casi infatti pare più semplice (ma non tanto) individuare la responsabilità dell’autore che sviluppa il software, o dell’azienda che lo implementa, o addirittura dell’utente che usa il sistema di AI. Il problema comincia a diventare veramente spinoso qualora nel software siano inseriti degli algoritmi di machine learning, in grado cioè di sviluppare una propria esperienza operativa autonoma, in base alla quale agire e prendere decisioni non previste e non prevedibili dall’autore umano. Cioè, quando la macchina impara da sola e decide da sola, resta possibile risalire in modo diretto alle responsabilità di eventuali reati ? E si può quindi condannare una macchina ?

E poi chi paga i danni ? La Giustizia ordinaria o straordinaria è in grado oggi di tutelare la vittima di errori dell’Intelligenza artificiale ? E’ plausibile  che un utente o un gruppo di utenti, ma anche un ente o una istituzione magari locale, facciano causa ad una di queste gigantesche multinazionali ? Questi interrogativi hanno poi un risvolto internazionale, in quanto vanno messi a confronto i principi giuridici delle varie nazioni dove le parti risiedono, e i cui sistemi giudiziari non sempre hanno intrapreso un percorso di globalizzazione o almeno di standardizzazione. Ad esempio, se in Russia si è scelta una soluzione giuridica che accomuna l’azione del software a quella di un animale, e quindi individua la responsabilità nel proprietario (art 1064 del proprio codice civile, tra l’altro estensibile anche in Italia grazie all’art. 2052 c.c. che prevede che il proprietario di un animale o colui che lo ha in uso per il tempo in cui se ne serve è responsabile dei danni dallo stesso cagionati . . .) lo stesso non si può dire per il resto d’Europa, dove sembrano prevalere altre tendenze (vedi le “Raccomandazioni alla commissione concernenti norme di diritto civile sulla robotica” del 16 febbraio 2017) non sempre coerenti già con gli stessi principi dei vari stati membri.

Molti sono gli interrogativi, e chi sa se un giorno, in tutto questo, non entri in campo una ennesima Intelligenza Artificiale, esperta in materia legale e che coadiuvi il giudice nelle sue funzioni, o che sappia decidere autonomamente responsabilità e sanzioni di macchine e di proprietari. Gli scenari sono aperti e come al solito la fantascienza ci anticipa qualcosa, ma ci sono già diversi software e si stanno perfezionando : qui si parla del software SAVRY e qui altri contributi interessanti (link).

Fonti e Link utili : implicazioni di diritto civile (link) con accenni anche al diritto d’autore) e di diritto penale (link). Altre interessanti riflessioni su come si evolve la professione forense (link).

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Revenge Porn

La vendetta porno che rovina la reputazione oggi è reato

Tra tutti i crimini informatici, il Revenge Porn merita un’attenzione particolare, cos’è, chi sono gli attori, il contesto e le conseguenze, cosa fare per evitare o per denunciare, alcuni famosi casi esempio italiani, le leggi che lo regolamentano e alcuni link e fonti utili. Infine i commenti dei nostri lettori e il form per contattarci.

Il fenomeno del Revenge Porn, o delle ex-fidanzate, esiste in modo preoccupante da quando esiste internet, ed è enormemente aumentato con la diffusione di cellulari e fotocamere digitali. Molto semplicemente si tratta di diffusione non autorizzata di immagini personali, soprattutto intime, e con l’aggravante del rapporto sentimentale. Se cioè tra vittima e autore del reato c’è o c’è stata una relazione sentimentale, ciò costituisce aggravante. Altra aggravante da rilevare si ha quando la vittima è una persona in condizione di inferiorità fisica o psichica o una donna in gravidanza. In tal caso cade anche il limite di 6 mesi di tempo per denunciare, che vengono calcolati dal momento della scoperta della diffusione delle proprie immagini.

Tuttavia rientrano in questa categoria anche azioni non legate a immagini diffuse per vendetta da ex partner, ma anche situazioni più genericamente riferibili alla pornografia non consensuale, ovvero anche quindi quei casi in cui la vittima non era consapevole, non consenziente o addirittura minacciata o costretta con la forza.

Cosa fare : come sempre, la prevenzione è molto importante. Oggi abbiamo due persone che si amano e vogliono provare insieme nuove emozioni, domani le relazioni finiscono e magari ci sono anche strascichi pesanti. E’ molto importante non scambiare mai foto o video di natura intima o particolare con nessuno, soprattutto se non si ha la possibilità di controllare il device del destinatario. Ricordiamo anche che con alcune app è facilmente possibile recuperare file e immagini cancellati, per cui è  particolarmente importante prestare attenzione a  non farsi riprendere da cellulari o fotocamere altrui. Analogamente non consentire mai a nessuno di usare o manipolare il proprio device senza la propria personale supervisione. Nel caso invece ormai il danno è fatto, e vi ritrovate vittime di Revenge Porn, recarsi senza indugio presso un avvocato e sporgere querela, o segnalare immediatamente sia la persona che arreca minaccia sia il materiale diffuso senza consenso. Va chiarito inoltre (vedi caso della maestra di Torino) che può essere denunciato sia chi diffonde il materiale in oggetto, sia chi lo riceve e lo diffonde a sua volta, in quanto anche questa azione provoca un danno all’interessato.

Il giudice può comminare la pena della reclusione da 1 a 6 anni e la multa da 5.000 a 15.000 euro.

Casi celebri : Tiziana Cantone è una ragazza di Napoli protagonista di una triste vicenda di foto e video intimi diffusi tramite whatsapp, ad opera dell’ex fidanzato e amici della cerchia. Alla fine, nonostante le denunce e le perizie, non ha retto lo scandalo e si è suicidata, come molte altre ragazze nel mondo. Il suo caso è stato particolarmente utile per motivare il Parlamento Italiano ad accelerare l’approvazione della legislazione sul Revenge Porn (Codice Rosso, vedi paragrafo Leggi).

La maestra di Torino, altro caso celebre, accaduto alla fine del 2020, e al quale è stata applicata la legislazione sul Revenge Porn. La maestra, vittima della diffusione non consenziente di video intimi personali, era stata persino licenziata dalla preside della sua scuola. Con la denuncia non solo è stato possibile condannare l’ex fidanzato, ma anche la preside, per violenza privata e diffamazione, oltre a una mamma particolarmente attiva nella diffusione delle foto, e una collega della maestra. La notizia sui media (link).

Leggi : come già anticipato, in Italia il Revenge Porn, inizialmente veniva considerato come reato associabile ad altri illeciti e quindi inserito nella normativa sui reati di diffamazione, estorsione, violazione della privacy e trattamento scorretto dei dati personali.

Visto però l’aumento in quantità e in gravità dei casi negli ultimi anni si è ritenuto configurabile come reato a parte, e con una riforma apposita è stato quindi introdotto il reato informatico specifico con l’art. 612 ter c.p.. Conosciuta anche come “Codice Rosso”, la legge è entrata in vigore il 9 agosto 2019. Qui un approfondimento (link) e qui una raccolta di tutti i decreti sulla materia (link) attualmente in vigore, fatta da Studio Cataldi.

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